Banche, un quarto degli utili va nei paradisi fiscali

euroPagare meno tasse attraverso una strategia caratterizzata dal ricorso a regimi agevolati e filiali situate in zone strategiche. Una prassi evidentemente molto diffusa e molto celata che, tuttavia, così non è nei confronti del settore bancario, unico comparto (dal 2015) ad essere obbligato a rendere pubblici i dati sugli utili prodotti e sulla tassazione, Paese per Paese, in seguito a quanto previsto dalle nuove regole internazionali che sono seguite alla crisi finanziaria dei mutui subprime. L’obbligo che porta a rendere pubblici i dati su utili e tasse, su singola nazione, non è invece presente per tutte le altre società che nei loro bilanci aggregati riescono a “oscurare” l’utilizzo che fanno dei tanto ambiti paradisi fiscali.

Ma a quanto ammonta il ricorso ai paradisi fiscali da parte delle banche? A scoprirlo, conducendo un’indagine che è una sorta di primizia, è Oxfam Fair Finance, che ha assunto in considerazione i dati presentati dalle prime 20 banche europee nel 2015. Ebbene, secondo quanto afferma lo studio Oxfam, nel 2015 le prime 20 banche europee hanno prodotto nei paradisi fiscali il 26 pe cento dei loro utili.

Da quanto sopra ne deriva, sostanzialmente, che un euro su ogni quattro che viene guadagnato dai principali istituti di credito internazionali finisce in un Paese che è a tassazione privilegiata, o… zero tasse. Nel complesso, vanno dunque a prendere la rotta dei paradisi fiscali una cifra pari a circa 25 miliardi di euro di utili non tassati, che aggirano le aliquote più elevate degli altri Paesi, Italia compresa.

Nel dettaglio territoriale, nel 2015 le prime venti banche europee hanno dichiarato 4,9 miliardi di utili nel solo Lussemburgo. Di questi, 557 milioni sono riferibili alla Barclays. Tra le italiane, ci sono UniCredit e Intesa Sanpaolo.

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